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mercoledì 28 novembre 2007

L'ELEFANTE BLU (di G. Gatto)


Un uomo scendeva giù per il sentiero, un piccolo corridoio fra le sterpaglie, verso gli argini del Tevere. Appena fuori città. Capelli bianchi e passo incerto, indossava stivaloni verdi di gomma, un giubbotto marrone pieno di tasche. Stretta in una mano la canna da pesca e nell’altra borsa e cestino. Avrebbe passato la mattinata a pescare cefali, cavedani e alborelle.
Erano le prime ore di una mattina di inverno. Fresca. L’aria pungeva il naso e le nocche delle dita. Ad ogni respiro l’uomo emetteva una nuvoletta di vapore che lui guardava compiaciuto, con gli stessi occhi di un bambino. Scelse il posto, aprì una piccola sedia da campeggio, si accomodò e cominciò ad armeggiare con i suoi attrezzi. Stava infilando il verme sull’amo, cosa che gli procurava sempre un po’ di fastidio e pena per l’animaletto, ed il suo sguardo venne attratto da qualcosa lungo il fiume.
– Mio Dio! –
Il suo volto si contrasse in una smorfia.
Gridò aiuto ma non poteva sentirlo nessuno. Se ne rese conto subito. In acqua galleggiava un corpo. Prese un lungo ramo, agganciò il cadavere e lo avvicinò alla riva che in quel punto faceva un’ansa. Si sedette sotto shock. Con il cellulare chiamò la polizia. Poi rimase lì, immobile, a fissare quella schiena piccola, nuda. Inanimata.
l’Ispettore Liguori e l’agente Marangoni furono i primi ad arrivare sul posto. Il primo sulla quarantina, pochi capelli in testa, barba corta e appena brizzolata, fisico robusto ma agile, sguardo determinato. Il collega aveva invece il fisico alla Sancho Pancha, il fido scudiero di Don Quixote. Era tutto sudato, nonostante la temperatura, e seguiva il suo capo ansimando ed incespicando ogni cinque, sei passi.
Il Pescatore era seduto con le mani sulla faccia. Piangeva. L’Ispettore in piedi a fianco a lui, il cadavere a pancia in giù nel fango con le gambe ancora immerse in acqua, Marangoni con la faccia nel fango anche lui, l’ultimo ciottolo traditore gli aveva fatto perdere l’equilibrio ed era caduto rovinosamente in avanti come un rinoceronte falciato dal fuoco di un bracconiere.
Liguori lo guardò sconsolato. Scosse la testa:
“Marangoni alzati, aiutami dai!”
I due trascinarono per le braccia la ragazza fuori dall’acqua, con tutta la delicatezza che gli riuscì. Era una ragazza. Quando la girarono ebbero un sussulto, il volto era completamente sfigurato ed a questi spettacoli non ci si abitua mai.
“Avrà avuto venti anni al massimo” disse Liguori “chiama la scientifica”
“... veramente ho lasciato la radio in auto”
l’altro sospirò e mise mano al suo cellulare. Intanto il collega disse fra sé e sé:
“una prostituta finita male...”
“può darsi ...” l’Ispettore allargò le braccia. Con l’espressione del volto e lo sguardo chiese un po’ di rispetto per la poveretta.
Negli ultimi anni erano stati non pochi i casi, spesso irrisolti, di giovani prostitute, di cui Roma andava popolandosi sempre di più, rapinate, stuprate, uccise da clienti fuori di testa o più spesso dagli sfruttatori. L’Ispettore era stato trasferito da poco a Roma da un piccolo centro del meridione e per sua stessa candida ammissione conosceva poco questo fenomeno.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, Liguori incontrò nel suo ufficio il collega della Medicina Legale:
“allora, cosa mi dici?”
“donna bionda, carnagione chiara, probabilmente dell’Europa dell’Est...”
“minchia, Alfieri, mi stai dando delle notizie sconvolgenti!” lo interruppe l’altro. Lui tossì, quasi senza cogliere l’ironia e continuò:
“... circa diciassette anni, è stata violentata, brutalmente direi, e picchiata in modo selvaggio. Ha brutti segni ed ecchimosi in tutto il corpo. Ha lottato, si è difesa. I colpi più profondi sono stati inferti sul volto e sulla testa con un oggetto contundente di forma piatta. Non è morta per le percosse, aveva acqua nei polmoni. Questo vuol dire che quando è stata gettata o è caduta nel fiume era ancora agonizzante, forse priva di sensi. Le ferite erano molto gravi, di sicuro sarebbe morta ugualmente, ma tecnicamente il decesso è avvenuto per annegamento, circa quattro giorni fa”.
Liguori prese fiato, si passò nervosamente una mano sulla fronte
“qualcosa per l’identificazione?”
“Nulla che possa aiutarci granché, l’unico debole indizio che abbiamo è un tatuaggio, un piccolo elefante blu sulla caviglia destra. Probabilmente era una mignotta...”
“finora eri andato benissimo” lo gelò l’ispettore “verifichiamo anche l’impronta dentaria. A dopo, grazie”.
“A dopo”
Alfieri andò via con una faccia dubbiosa
Liguori chiamò un agente:
“non abbiamo molti indizi, controlliamo tutte le denunce di giovani donne scomparse negli ultimi mesi, scandagliamo il mondo della prostituzione, voglio dei rastrellamenti nelle zone a nord di quel tratto di fiume e in tutta la zona sud della città. Cerchiamo di mettere un po’ d’ansia ai nostri informatori e setacciamo le baracche lungo il fiume. Vediamo cosa salta fuori”
“Vabbene capo. Tutto chiaro”

L’Ispettore aprì la porta di casa, ad aspettarlo la moglie, un grosso batuffolo maleodorante di nome Poldo, salvato anni prima dalle sbarre del canile e la figlia Chiara, ultimo anno di liceo, piena di vita, capelli rossi e lentiggini.
“Ciao Giorgio” lo salutò la moglie
“ciao Pà, com’è andata oggi?” fece da coro Chiara
“una giornataccia amore”
“e quando mai, rispondi sempre così!”
“si, hai ragione, ma oggi lo è stata veramente. E dopo cena devo tornare alla centrale per degli interrogatori”
“e no, eh! Dopo cena dovevamo andare da mia cugina!”
era la moglie Vanessa, una bella donna dal carattere forte e i modi un po’ bruschi, che si era affacciata dalla cucina
“me ne ero dimenticato, scusa, ma devo andare, e per via di un omicidio. Una ragazza trovata assassinata...”
“Ah, quella del fiume?” lo interruppe Chiara “ne hanno parlato in televisione”
“Si. Aveva più o meno la tua età”
Poldo abbaiò in debito di saluti e carezze e appoggiò le sue zampotte sui pantaloni del padrone.
Vanessa si allontanò sbuffando
“in tv parlavano di una prostituta, un probabile regolamento di conti negli ambienti della malavita straniera. Certo che se una fa quella vita i problemi se li va a cercare...” disse Chiara.
Giorgio contrasse la mascella, dovette fare uno sforzo enorme per non mollare un ceffone alla figlia ma la voce che gli uscì fuori era quasi peggio:
“tu non sai di cosa stai parlando. Non ti rendi conto. Finché queste frasi le sento dire ai miei colleghi passi, ma in bocca a te...”
Chiara abbassò gli occhi e non rispose.
La mamma si affacciò nella stanza
“siamo tornati a casa nervosi?” poi si rivolse alla figlia
“vestiti che andiamo io e te da Alessandra, ceneremo da loro”
E di nuovo al marito
“se vuoi qualcosa da mangiare apri il frigo e poi rimetti tutto a posto. E prima di uscire porta fuori il cane”.
Poldo capì che si parlava di lui è guaì un po’ prima di andare ad accucciarsi davanti la porta d’ingresso con il guinzaglio in bocca.
L’Ispettore ingoiò il rospo maledicendo il giorno in cui si era sposato. A giorni alterni malediceva il suo lavoro e il suo matrimonio. Di sicuro l’uno non giovava all’altro.
Dopo la passeggiata con il quadrupede peloso comprò una robusta porzione di pizza al taglio e tornò in centrale.

“Buonasera Ispettore, lo accolse l’agente Marangoni, abbiamo di là delle fermate...”
“si, ... dell’autobus! Arrivo”
L’agente aggrottò la fronte. L’altro, con la pizza ancora a metà, lo salutò con un cenno del capo e andò nella stanza in fondo al corridoio.
Le ragazze erano per lo più europee, battevano i piedi infreddolite, poco più che bambine ma lo sguardo tradiva i segni dell’essere dovute crescere ed affrontare le cose peggiori della vita maledettamente troppo in fretta.
Vestite alcune in modo provocante, altre infagottate in abiti normali e modesti ispiravano più che altro tenerezza.
“Come ti chiami?” chiese ad una biondina con i capelli chiusi in una coda, piccola e mingherlina, occhi azzurri e spaventati.
“Olga” disse lei. Indossava jeans, stivali con tacchi alti e giubbetto di pelle bordeaux, “sono Moldava”.
E non ci fu verso di farle dire altro.
Alle spalle dell’Ispettore un collega disse:
“queste hanno paura, non dicono nulla. Qualcuna ammette che stava battendo ma dice che lo fa per scelta. Non è facile riuscire a cavargli qualcosa di bocca...”
L’Ispettore diventò più diretto
“siete qui perchè abbiamo bisogno di aiuto. Una di voi qualche giorno fa è stata uccisa a pugni in faccia, spogliata e buttata nel fiume come uno straccio vecchio”
una ragazza si mise le mani sul volto e scoppiò a piangere, un’altra sgrano gli occhi, saltò in piedi e soffocò un urlo.
“Abbiamo bisogno che ci aiutiate capire chi è e chi le ha fatto fare questa fine del cazzo”.
Diverse ragazze decisero di collaborare. Alcune erano talmente spaventate che trovarono il coraggio di denunciare i maiali che le costringevano a fare le puttane.
Helena, capelli castani tagliati a caschetto, occhi verdi, sorriso dolcissimo e vestitino nero molto succinto aprì gli argini:
“ho venti anni, sono venuta in Italia un anno fa, mi ha convinta mio fidanzato. Faceva il muratore, così diceva lui, mi aveva promesso un lavoro, una casa, dei figli. Mi voleva sposare” ricominciò a piangere “appena sono arrivata da Romania è cominciato l’inferno. La mia vita è finita. Il mio uomo mi ha venduta ad altri uomini. Animali. Lui non l’ho più visto. Sono stata picchiata, violentata, torturata per giorni. Non avevo più lacrime per piangere. Dovevo fare la puttana o morivo. Ma ora tanto mi sento già morta. Non ce la faccio più...”.
Così era cominciata la sua nuova non-vita. Tutte le notti per strada a vendersi per mettere insieme centocinquanta, duecento euro che finivano in tasca ai suoi aguzzini.
“Le prime parole italiane che ho imparato sono state: - trenta euro, bocca e scopare, andiamo amore? - ...”
Liguori ebbe un lieve giramento di testa. Fece un respiro profondo
“se denunci i tuoi sfruttatori possiamo aiutarti. Fidati”
“Ho paura, ... si, non ce la faccio più ...” abbassò lo sguardo, annuì con la testa “va bene” guardò negli occhi l’ispettore “... grazie”.
La portarono a vedere il cadavere.
“No, non l’ho mai vista” disse Helena.
Gli interrogatori proseguirono per ore.
Ivona, diciottenne ucraina, fisico da sportiva, alta, spalle larghe, capelli lunghi e mossi. Anche lei si decise a fare i nomi dei suoi carnefici, nonostante fossero quasi riusciti a spezzarle ogni velleità di ribellione. Neanche lei fu però in grado di aiutare la polizia per il riconoscimento.
Poi Inna, magrissima, quasi anoressica, con i capelli nero fulvo:
“questa vita mi fa schifo ma sono scappata dalla miseria, dalla disperazione, ho provato a lavorare come cameriera ma non ce la facevo nemmeno a pagare l’affitto. Un’amica mi ha detto vieni a lavorare con me... Vorrei riuscire a tornare a casa mia, nella ex-Jugoslavia, con un po' di soldi...”

Le ragazze erano terrorizzate. Non tutte erano disposte a parlare delle loro storie. Nessuna aveva riconosciuto la ragazza uccisa. Le denunce permisero però di liberare dalle catene invisibili altre diciotto ragazze.
Nei giorni seguenti si sparse la voce e altre ragazze fecero nuove denunce. Non era molto ma era un inizio.
L’omicidio ancora irrisolto aveva fatto sì che si procedesse ad arresti ed espulsioni. Piccoli ma di duri colpi al racket delle lucciole. I mandati di arresto recitavano l’agghiacciante frase: – ... per i reati di induzione e sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù e traffico di esseri umani ... –
Anche le indagini sull’universo delle baraccopoli lungo gli argini del Tevere non avevano dato nessun risultato se non quello di scoprire un mondo di povertà e miseria che viveva alla giornata all’ombra della capitale.

“Vanessa, dormi?”
“no...”
“nemmeno io...”
“che c’è?”
“... in questi quindici anni ne ho viste di tutti i colori ma in queste settimane ho scoperchiato un pentolone assurdo. Una realtà che non credevo avesse dimensioni così tristi...”
Giorgio e la moglie erano a letto, era passata da poco la mezzanotte. Avrebbero dovuto già dormire ma quello era uno dei pochi momenti in cui riuscivano a scambiare due chiacchiere.
“La storia di quella ragazza, vero?” chiese la moglie.
“Si. Per via di quel delitto ho ascoltato tante storie. Nella nostra moderna Europa esiste ancora chi commercia in carne umana!...”
La moglie gli carezzò il capo, sospirò, lo strinse a sé sotto le coperte e gli diede un bacio sulla guancia
“ora cerca di dormire”.

In un bar di periferia due ragazzi sulla trentina, appena scesi da una Mini gialla, vestiti con jeans firmati, felpa, occhiali alla moda, i capelli lucidi di gel, stavano sorseggiando un aperitivo
“Ahò, ma hai visto che ce stanno meno mignotte in giro?”
“Ho visto si! Ieri ho dovuto girare un’ora per trovarne una! Dice che jè stanno addosso, che jè stanno a dà na stretta. Quasi tutte le sere ce sta la madama per le strade”
“che te devo dì, speramo che nun arzano i prezzi!”
I due imbecilli risero rumorosamente della battuta.

Un anno dopo la poveretta del fiume era rimasta senza volto e senza nome, le puttane erano tornate sulle strade più di prima.
Davanti la stazione Ostiense un rumeno prese a coltellate un suo connazionale, più fendenti all’addome sferrati con inaudita ferocia, in pieno giorno, in mezzo alla folla. La polizia intervenne richiamata dalle urla dei passanti e riuscì ad arrestare l’assalitore. Il ragazzo colpito era ancora vivo ma disteso a terra privo di sensi. Perdeva molto sangue.
Marangoni stava portando il caffé a Liguori, urtò la lampada sulla scrivania a glielo versò interamente sulle carte che stava firmando. Il destinatario del caffé alzò gli occhi al cielo e pregò che un fulmine incenerisse il collega in quel preciso istante.
Bussarono alla porta
“Ispettore ci sarebbe da interrogare quel pazzo che ha accoltellato un suo connazionale e preparare la relazione, viene processato per direttissima. La vittima è in ospedale, è stato operato d’urgenza e se la dovrebbe cavare”
“occupatene tu Gualtieri”
“io sto uscendo con Rodolfi per una rapina a mano armata e gli altri sono tutti impegnati”
“ho capito...”
L’ispettore asciugò il caffé che non aveva risparmiato nemmeno camicia e pantaloni e raggiunse l’accoltellatore. Si mise in piedi davanti a lui:
“come ti chiami?”
“...”
“guarda che ti spacco la faccia”
“...”
“Perchè hai preso a coltellate quel disgraziato? Hai capito cosa hai fatto?”
“Si, io capisce”
disse il ragazzo molto lentamente e alzando gli occhi verso di lui, Liguori vide qualcosa nel suo sguardo che lo impietrì. L’altro continuò sempre lentissimo e con voce monocorde
“Mi chiamo Ivan. Dimitri è ragazzo di mia sorela, vivono in baracca lungo fiume. Mia sorela Tania è scomparsa da tanto tempo. Lui dopo bevuto detto me che qualche volta lui picchiava e lei scappata. Mia sorela è un angelo, no ha nemmeno diciotto anni. Io ero in Romania fino a un mese fa. Io ho dato lui quelo che meritava. Ora voglio ritrovare mia sorela”.
Il caso aveva voluto che fosse proprio Giorgio Liguori ad ascoltare quelle parole. Ebbe una certezza e gli si gelò il sangue.
“Tua sorella ha un tatuaggio?”
“... un piccolo elefante blu sulla caviglia destra ...”, lo dissero praticamente all’unisono.
Ivan salto in piedi, Liguori lo abbracciò forte, lo strinse, e lui capì. Urlò in silenzio. Disperato.
L’ispettore gli raccontò quello che era accaduto un anno prima tacendo i particolari più dolorosi e inutili.
Dimitri Popescu venne interrogato nei giorni seguenti in ospedale e dopo poche ore crollò e confessò. Quando Tania era tornata nella baracca in cui vivevano, lui era ubriaco fradicio. Lei lo aveva respinto e lui le era saltato addosso. L’aveva presa a pugni, strappato i vestiti e stuprata. Lei aveva cercato di difendersi disperatamente. L’aveva stretta da dietro sbattendole più volte la faccia e la testa sul tavolo e ridotta in fin di vita senza nemmeno rendersene conto. Poi l’aveva gettata nel fiume.

L’Ispettore vide una sua fotografia. Tania era una ragazza dolce con gli occhi luminosi e pieni di sogni. Lavorava in nero come domestica ma nessuno aveva denunciato la sua scomparsa.
La vita di un fiore spezzato in quel modo non era quindi la vita di una puttana. Ma ormai a chi importava.



di Giuseppe Gatto




7 commenti:

Mario ha detto...

un fatto di cronaca... ma fila e si mangia senza respiro

Anonimo ha detto...

un po' triste, come, a volte, è la vita. Un abbraccio

ivy ha detto...

...un senso di suspense che mi ha tenuta avvinta fino alla fine...

Anonimo ha detto...

l'ho letto tutto d'un fiato. A tratti strappa persino qualche sorriso sullo sfondo di una storia molto triste e vera.

fuorisincrono ha detto...

Vite crude e violente, straniere a quella esistenza semplice e quasi sorridente con cui si intrecciano e nella quale entrano. Narrazione da cronaca ma velata ora da rassegnata amarezza, ora da malincomica compassione e da triste impotenza.

Bravo.

Cristiana ha detto...

Un altro bellissimo racconto. Sembrava di essere lì.

Giuseppe Gatto ha detto...

e ri-grazie. A giorni parte il paccheto "speciale fans!" :-)

Libera 
Università di Alcatraz