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domenica 20 gennaio 2008

IL GIRASOLE. L’estate, il mare, il pattino (di G. Gatto)


Era in pensione già da qualche anno ma era ancora forte e pieno di energia. Schiena dritta e portamento fiero. Aveva fatto la guerra. Ma non ne parlava volentieri. Quando gli scappava qualche ricordo gli si adombrava il viso.
Magro, atletico, portava dei piccoli occhiali rettangolari. Da qualche anno anche il bastone da passeggio.
Amava il sole, il mare, il caldo. Il suo sogno era andare a vivere ai Caraibi, dove era sempre estate.
Era anche per via di quella brutta sinusite che lo costringeva a passare gli inverni spesso tappato in casa. Appena prendeva un po’ di freddo erano dolori. L’inverno lo invecchiava. Gli metteva addosso vestaglia e pantofole e lo sedeva davanti la televisione. Come a molti altri vecchi di città.
La mattina andava a fare la spesa ed altre tremila faccende che riusciva ad inventarsi, fuori, in casa o giù in cortile. Le tapparelle della finestra, il cancello, il prato, le provviste in cantina...
Montava, smontava, puliva, aggiustava, innaffiava, sistemava, andava, veniva. Instancabile. Salvo poi rientrare per il pranzo sbuffando: “Eh..., devo fare sempre tutto io!” con la variante “Eh, se non ci penso io!”
Quando usciva era coperto come un orsacchiotto. Cappotto, cappello, sciarpa. L’immancabile bastone. E la mano schiacciata sulla bocca e sulle guance, a proteggere dal freddo il dolore di quella maledetta sinusite.
Sotto il cappotto era sempre impeccabile nei suoi abiti grigi o verde scuro. Sempre in giacca, a volte anche cravatta e pochette da taschino. Un eleganza sobria e naturale.
Appena la primavera si inoltrava sui campi lui riempiva la sua vecchia Innocenti come una roulotte. Svuotava la cantina e ci ricopriva l’auto.
E partiva per il mare.
Ringiovaniva di dieci anni. Ogni volta.
Sul portapacchi della sua indistruttibile macchina verde bottiglia fra le altre cose c’erano ombrellone, sdraio, remi e salsicciotti. Quei cosi gonfiabili che aveva scoperto fra i primi in Italia e che gli permettevano di tirare sulla spiaggia il pattino e rimetterlo in mare da solo. O quasi. Il fedele natante lo aspettava al villaggio al mare. Conservato con amore.
Questa era la sua vita da giugno a settembre.
Al mattino presto si alzava, faceva colazione con cafféllatte e pane raffermo, abitudine cementata dai tempi del collegio. Poi si vestiva con maglietta a maniche corte, di colori spesso sgargianti, pantaloncino largo che arrivava quasi al ginocchio, cappello con la visiera, occhiali da sole rettangolari. Ed andava a vedere il mare.
A piedi.
Se il mare era calmo lui era felice. Si usciva con il pattino.
“Oggi l’acqua è una tavola” diceva sorridendo.
Se il mare era mosso tornava a casa un po’ afflitto
“eh, il mare è agitato...”.
Tutto il paese era uscito su quella specie di barcone blu.
La preparazione era meticolosa. Caricava la macchina con tutte quelle cose che gli altri lasciavano sulle barche ma lui invece riportava a casa tutti i giorni. Gli scalmi, i remi, i salsicciotti, il coperchio del vano che faceva anche da seduta, il salvagente. Poi l’ombrellone ed almeno due sedie a sdraio. Quelle in legno e tela.
Arrivava ad un passo dalla spiaggia. Slegava gli elastici e scaricava il portapacchi.
Piantava l’ombrellone quasi sul bagnasciuga. D’altronde a quell’ora non c’era ancora nessun altro. Sistemava le sedie a sdraio. Più tardi sarebbero state popolate dalla famiglia, che lui adorava: la moglie, le figlie, a volte i nipoti.
Quindi cercava un posto all’ombra per la macchina. Odiava trovarla al sole. L’auto era un girasole al contrario. Cercava sempre disperatamente l’ombra. Sembrava che fosse lei a chiedere:
“Mi sposti all’ombra?”.
Altrimenti non si spiega come mai a volte lui uscisse da casa, anche più volte al giorno, per spostare la macchina anche quando sapeva che non l’avrebbe dovuta usare.
Certamente nel caso fosse servita gli occupanti l’avrebbero trovata all’ombra e bella fresca.
Poi si dedicava alla sua creatura. Metteva al loro posto il coperchio-sedile, i remi e trovava sempre qualcuno che gli desse una mano per metterla in acqua.
Non gli aveva mai dato un nome.
Era semplicemente il pattino. Una volta, molti anni prima, era rosso, poi lo cambiò con un modello ancora più grande, sopra blu mare sotto bianco.
Si faceva un giro da solo. Lui e il mare. Remava lentamente ma in modo vigoroso. Così non si stancava e non gli usciva una sola goccia di sudore.
La spiaggia cominciava a popolarsi e cominciavano i turni.
Qualcuno lo chiamava sbracciandosi dalla riva. Lui arrivava, caricava tre, quattro persone, famigliole intere o solo bande di figli e nipoti di amici e conoscenti. E si ripartiva. Si andava a largo a fare i tuffi e a fare il bagno dove l’acqua era pulita. Limpida e blu. O semplicemente a prendere il sole in mezzo al mare.
O si andava, specie con i più piccoli, allo scoglio non lontano da riva. Sempre per fare il bagno e tuffarsi.
Era un’imbarcazione imponente, in vetroresina, leggera ma anche grande e robusta. Ci si poteva stare anche in otto, stendersi a prendere il sole ed usarla come trampolino senza il rischio che si capovolgesse.
Dopo mezz’ora al massimo tornava a riva. Scendeva un gruppo e ne saliva un altro. Gli sembrava ingiusto non accontentare tutti. Così ogni giorno sul pattino blu salivano tante persone diverse e lui era amico di tutta la spiaggia.
L’esclusiva la possedevano solo le figlie e i nipoti. Una sola figlia per la verità perchè l’altra aveva paura di andare a largo e restava ben ancorata al bagnasciuga con tanto di inutili pinne ai piedi. I nipoti venivano a trovarlo una o due volte al mese ed in quei giorni lo zatterone a remi portava a zonzo quasi solo loro. Tanto scendevano in spiaggia non prima delle undici, quindi c’entravano almeno quattro turni pre-nipoti!
Non lo prestava però. A nessuno. Sul pattino poteva salire chiunque ma ai remi c’era sempre lui. Il capitano, come lo chiamava qualcuno.
Le solite eccezioni erano per pochi eletti. I soliti nipoti, loro si, potevano mettersi ai remi. Ma dovevano remare come lui. In modo costante, lento, regolare. Altrimenti ritornava al posto di comando.
Non amava la pesca ma accompagnava volentieri i suoi amici a pescare. In quel caso tutta la consuetudine non cambiava, semplicemente veniva anticipata di qualche ora.
Quando si avvicinava l’ora di pranzo rientrava. A tirar su la barca, con l’aiuto dei magici salsicciotti, c’era sempre mezza spiaggia. Tutti quelli che vi erano saliti. Quindi poteva dirigere le operazioni senza spingere.
Poi riprendeva tutto l’armamentario: ombrellone-sedie-remi-scalmi-coperchio, ricaricava il portapacchi della Innocenti e legava il tutto per bene con un paio di robusti elastici. Quindi faceva ritorno a casa, a cinquecento metri dal mare.
Ad aspettarlo c’era la moglie, la sua compagna di una vita. Più di messo secolo vissuto in completa simbiosi, l’uno per l’altra. Come quegli uccelli che dividono per tutta l’esistenza lo stesso nido e gli stessi cieli. Raramente lei scendeva in spiaggia. Forse era anche gelosa di vedere tutte quelle donne che lui scarrozzava in lungo e in largo. E poi non amava molto il mare.
Però cucinava in modo superbo. Ogni giorno era un pranzo luculliano. Soprattutto se avevano ospiti. Ed avendo tanti parenti ed amici non era raro che succedesse.
Dopo mangiato calava il coprifuoco.
Il capitano andava a dormire e quando si svegliava, dopo un paio di ore o più, faceva al massimo una passeggiata. Il pomeriggio era anche dedicato al rito del quotidiano che leggeva avidamente da cima a fondo.
Gli volevano tutti bene. Era una presenza costante per tutta l’estate. Estate dopo estate. Sempre lì ad armeggiare alla barca, alla macchina, a scrutare il tempo all’orizzonte o cercare chi voleva farsi un giro scrutando dal pattino verso la spiaggia. Sempre con la mano a parare il sole e proteggere gli occhi. Sempre con le sue magliette colorate. La gialla spesso preferita alle altre.
Un giorno mise il suo fido guscio galleggiante a mare. Da solo. Non lo vide nessuno. Cominciò a remare verso il largo. Lentamente. Si sentivano solo i suoni che fa il remo entrando in acqua e lo scalmo ruotando su se stesso.
E non tornò più.

di Giuseppe Gatto

racconti e storie di Giuseppe Gatto

12 commenti:

tsu-mina ha detto...

Sono ancora per il lieto fine ma il racconto è proprio carino! Non ho avuto molto tempo di leggere le tue cose (sono incappata nei tuoi divertenti haiku) ma non mancherò di farti visita ancora. Sono lusingata che tu voglia usare anche i miei disegni. Magari, se dovesse piacertene uno più di altri, potresti mettere da dove lo hai preso? grazie ancora e buona continuazione A presto!

Trinity ha detto...

Ciao Giuseppe!
Finalmente riesco a passare di qui per farti un saluto, ho visto che hai inserito i video di Corrado Guzzanti... proprio l'altro giorno, guardando tra le opzioni del mio Blog, mi sono accorta che ora si possono aggiungere i video di YouTube nella barra laterale del Layout; ho subito pensato a te che, tempo fa, mi avevi chiesto come inserirli sul blog... Dimmi la verità.. conosci uno dei programmatori di Blogspot?? ;-)
A parte gli scherzi è molto carino il tuo blog, non ho avuto il tempo di leggere tutti i tuoi racconti ma tornerò a farti visita sicuramente :-) (è una minaccia???) :-P
Buona serata!

Giuseppe Gatto ha detto...

grazie per la visita e le minacce! :-) ho inserito i video "direttamente" solo per fare prima, le tue istruzioni erano perfette! Hai dato una sbirciata anche ai deliri di "Pensa se avrei studiato!"?, il sottoblog... (pulsante in alto a destra). ciao ciao

Anonimo ha detto...

Che bello un blog interamente dedicato a corti letterari!veramente ottimo caro gattone

Anonimo ha detto...

Bravo! io e nonna ci siamo commosse molto. E' una bella fotografia.

Anonimo ha detto...

bravo!
un racconto come quelli che piacciono a me, con la cura dei particolari e la descrizione dei personaggi attenta, fino a farli riconoscere dal lettore come persone già incontrate e frequentate.
anche il ritmo è quello giusto, adeguato al contenuto narrativo, cadenzato dalle parole e dagli avvenimenti narrati.
bella anche la chiusa finale che ha sì una nota triste, ma lascia dignità al protagonista, salvandolo dalla scomposta decadenza e avvolgendolo in un destino misterioso
ciao
anna

Anonimo ha detto...

Bello, calmo, sereno. appagante persino nella fine

Anonimo ha detto...

È ufficiale, sei molto bravo anche quando scrivi “serio”!
Tilly

Anonimo ha detto...

Un racconto molto bello, velato dalla tristezza della vecchiaia, che per quanto si possa colorare sempre grigia é. Forse é morto come era vissuto, in silenzio, con eleganza, col sorriso e con uno dei suoi amori preferiti, forse il più fedele.
Bravo.
Sandra

Anonimo ha detto...

Proprio bello! Mi è piaciuta questa figura forte e integerrima, meticolosa in ogni minima attività e gentile. Il modo di morire è quello che si augura ad una persona di questo spessore. Sei bravissimo!

Giuseppe Gatto ha detto...

Grazie, grazie, grazie... davvero, tutte queste belle parole mi confondono...

fuorisincrono ha detto...

Hai colto l'essenza della dignità e ne hai permeato il racconto dall'inizio alla fine.

Per me , un racconto sereno.....

- non ho ancora trovato una storia che non mi abbia cambiato lo stato d'animo - E ciò è un gran bene!!!

Libera 
Università di Alcatraz