Qui sotto trovi i racconti più recenti pronti da srotolare... Se ti va di saltare di palo in frasca qui a lato c'è l'archivio racconti. Iscriviti alla newsletter e fai un salto anche su "Pensa se avrei studiato!!!" (il disegno del banner con il gatto blu è di Tsu-mina)

mercoledì 5 dicembre 2007

RAVIOLO CARPIATO - Il vestito non basta (di G. Gatto)


“Amore, ho vinto il concorso interno come migliore segretaria dell’anno”
“Cavolo! Brava! Vieni qui, fatti dare un bacio”
“aspetta” divincolandosi
“l’hanno detto davanti a tutti, non puoi capire che emozione! Tutti che mi applaudivano! Hanno detto che mi daranno un aumento e mi hanno regalato una cena per due in un ristorante lussuosissimo in centro, il Playa Real, Placa Real o qualcosa del genere!”
“Fichissimo!”
Adriana era tornata a casa con questa bella notizia. Massimo era ancora in tuta da lavoro e doveva lavarsi. Lei lavorava come segretaria in un’azienda informatica e lui da un gommista per auto. Erano giovani, niente figli ma sarebbero arrivati prima o poi e conducevano una vita tranquilla, normale. I conti con i soldi che non bastavano mai, qualche uscita con gli amici, la pizza, un cinema, le vacanze poche, brevi e vicino casa.
Il premio della cena era arrivato molto gradito perchè loro in un ristorante di lusso non c’erano mai stati. Massimo specialmente, grande forchetta e buongustaio, aveva accolto la cosa con un grande sorriso.
Avevano prenotato seguendo le istruzioni: chiedere di una certa persona, citare lo speciale invito; aveva chiamato lui tenendo la cornetta con entrambe le mani e con la moglie di fronte che annuiva e seguiva le sue parole.
“Amore, mi devi fare un regalo” disse lei “mettiti il vestito elegante, non farmi fare brutte figure! Non puoi mettere il jeans e la solita felpa con i cartoni animati, lo capisci? Ci saranno anche altri colleghi premiati e sicuramente qualche dirigente della società!”
“Ma si, certo. Speriamo che il vestito del matrimonio di tua cugina mi entra ancora!”
Avevano detto tutto ai genitori e la mamma di lei al telefono con lui, ignorando le raccomandazioni della figlia, aveva tuonato:
“per favore vestiti in modo decente, non come al solito tuo che sembri un profugo albanese!”
Sempre carina la suocera.
Massimo effettivamente non ci teneva molto al vestire, e se vogliamo dirla tutta nemmeno all’igiene personale, era piuttosto trasandato ed anche il fatto che fosse abbondantemente sovrappeso non lo aiutava. Addosso a lui anche un capo di sartoria diventava un cencio spiegazzato da quattro soldi.
La serata speciale era arrivata. Lei era bellissima con la sua folta chioma di capelli castani, gli occhi neri e luminosi, le ciglia lunghissime, indossava pantaloni marrone, stivali e maglioncino a collo alto beige. Sobria ed elegante.
Lui riuscì con non pochi sforzi ad entrare nel vestito grigio scuro del famoso matrimonio. Il pantalone si chiuse trattenendo il respiro, serrò la cintura e sperò che tutta l’impalcatura reggesse. La giacca ovviamente non si chiudeva, mancavano diversi centimetri, ma lasciata aperta e indossando la cravatta non si notava poi così tanto.
Nemmeno il colletto della camicia volle saperne di lasciarsi abbottonare in alcun modo nonostante fosse una taglia diciotto, lasciarono l’ultimo bottone aperto e Adriana gli strinse bene la cravatta. Problema mimetizzato.
Massimo scelse la cravatta più bella fra le tre o quattro che aveva, sfondo rosso e pallini di varie misure e colori. Adriana inorridì ma nel complesso si poteva dire che, tenendo conto della base da cui si era partiti, il risultato era piuttosto soddisfacente e comunque ben oltre le aspettative.
Parcheggiarono l’utilitaria vicino al centro e si incamminarono a piedi.
Arrivarono al Plaza Real che si affacciava in una deliziosa piazzetta del centro storico e a momenti gli prendeva un colpo a entrambi: era il ristorante di uno degli alberghi più lussuosi della città, una cosa super chic. L’ingresso era una porta di legno importante ma senza insegna, con due imponenti fioriere ai lati. La porta di un club esclusivo.
“Sembra una di quelle dei film americani” disse Massimo.
Bussarono, un signore in divisa apri la porta e li fece accomodare, entrarono e lo salutarono con piccoli inchini scambiandolo per il direttore. L’interno era molto elegante, ricco ma non vistoso. Non c’era un particolare fuori posto: opere d’arte qua e là, tavoli distanti l’uno dall’altro dei metri e con sopra le candele accese, luci soffuse, musica classica come tenue sottofondo, poltrone di pelle in luogo delle sedie, grandi composizioni di fiori freschi.
Vennero loro incontro altre tre persone, una per salutarli ed indirizzarli alla sala, una per prendere i soprabiti e una per farli accomodare al tavolo.
Massimo sprofondò nella poltrona, la moglie tossì e lui si rimise con la schiena dritta, anche perchè era l’unica posizione in cui riusciva a respirare ed evitare lo scoppio dei bottoni dei pantaloni e delle vene del collo strizzate dal cappio di colletto e cravatta.
“Ti prego” implorò Adriana “non mi far fare brutte figure!”
Glielo aveva detto già una decina di volte. A casa prima di uscire, mentre erano in auto, mentre parcheggiavano, mentre arrivavano a piedi. Era diventato una specie di jingle pubblicitario che partiva di tanto in tanto, come alla radio.
Una quinta persona, il Maitre, li salutò e porse loro i menù.
“Oh, sono più i camerieri che i clienti!” disse lui e la moglie annuì.
Davanti a loro un’infinità di posate e bicchieri. Aprirono l’enorme menù. Quando vide i prezzi a momenti Massimo si strozzò, se avessero dovuto pagarla loro la cena ci sarebbe voluto un mezzo stipendio!
Tutto il resto era aramaico antico. Si capiva poco: ogni paginone conteneva sei, sette piatti dalle descrizioni talmente elaborate, fantasiose ed indecifrabili che non si comprendeva quali fossero gli antipasti, quali i primi, se c’erano, quali i secondi, né cosa ci fosse dentro esattamente. Inoltre ogni foglione aveva un tema: freschezze di primavera, foglie di autunno, fondali marini, terra e boschi e così via.
Ipotizzarono che uno dovesse per forza scegliere una pagina e quindi un tema.
Una delle ragazze che li aveva accolti intanto aveva portato loro tre grissini a testa, in due eleganti piatti di cristallo stretti e lunghi.
“Li posso mangiare o sono per bellezza?”
“Massimo per f-a-v-o-r-e!”
“Io li mangio...”
Tornò il Maitre. Meno male. Spiegò che i primi due piatti di ogni pagina erano gli antipasti – (aaah!) disse con gli occhi Massimo – gli altri due a seguire i primi piatti e gli ultimi due i secondi. Erano proposti secondo dei percorsi di degustazione suggeriti dallo chef ma si poteva anche saltare da una pagina all’altra. La lista dei dessert era a parte, come quella dei vini naturalmente.
Illustrò alcuni piatti e suggerì un approccio di scoperta dei sapori che prevedeva due antipasti, un primo, un secondo e un dessert.
“Ma si, tanto è tutto gratis!”
“Come prego?”
calcio sotto il tavolo
“no dicevo, ... ci consigli lei”
Le scelte non furono facilissime ma riuscirono nell’impresa pur nutrendo forti dubbi su cosa avessero realmente ordinato e di che tipo di animale o vegetale potesse trattarsi. Riuscirono, nonostante i suggerimenti del Maitre, a mescolare in modo agghiacciante pesce, carne, ancora pesce, ...
Intanto la ragazza dei grissini era passata più volte chiedendo
“i signori ne gradiscono ancora?”
Massimo non rispondeva nemmeno più, faceva un gesto con le braccia, le spalle e la testa che voleva dire inequivocabilmente: – e si capisce, che c’è bisogno di chiederlo? –
A cui seguiva in un nanosecondo la frase della compagna sibilata fra i denti:
“non mi far fare brutta figura!”
La signorina depositava i soliti due, tre grissini nel piatto, solo nel piatto di Massimo perchè Adriana faceva il gesto con la mano come per dire: – no grazie sono già piena! – con una pinza d’argento e giusto il tempo di girarsi ed il nostro eroe li aveva già triturati.
Lista dei vini. Lista? Un libro! Quello più economico costava come il pieno alla macchina fino ad arrivare al prezzo di acquisto della macchina vera e propria.
Si lasciarono consigliare nuovamente.
“Vorrei proporvi un Dolcetto d’Alba del 2004 che pur intenso e corposo è un rosso che si può ben abbinare sia ai sapori di terra sia a quelli di mare. All'olfatto si apre ampio nei profumi fruttati con note di rosa e cannella, al palato è morbido, pieno, con un finale gradevole leggermente asciutto con riflessi violacei”.
I due annuirono lentamente e a bocca aperta come due simpatiche carpe e quando il Maitre si allontanò si scambiarono occhiate ed espressioni ancora più sconcertate!
Intanto servirono loro un aperitivo ed uno stuzzichino pre-antipasto. Un piatto enorme, bianco, con al centro un francobollo tridimensionale colorato con tre gocce di aceto balsamico di lato.
“Cos’è?” chiese lui a lei senza muovere nemmeno un ciglio e senza togliere lo sguardo dal francobollo.
Era stato preso un po’ in contropiede. Aveva si immaginato delle porzioni piccole, ma non così piccole, cazzo!
Buono. Piccolo ma buono, scese giù come una boccata di vento.
Si chiesero cosa fosse ed ipotizzarono un salume un po’ forte e pasticciato con una salsa strana. Lo chiesero al Maitre.
“E’ una fantasia di pescespada con bottarga e lacrime di ostrica”.
Le due carpe si scambiarono una nuovo occhiata di reciproco “mah!”
Ogni volta che finivano il vino nel calice si materializzava dal nulla un ragazzo che glielo riempiva nuovamente quasi a metà senza farne cadere una goccia.
La ragazza passò al pane. Depositò sempre con l’aiuto della immancabile pinza d’argento tre minuscoli panini di differenti fogge nei piattini laterali della coppia.
Massimo ebbe come un singulto e gli venne da piangere, panini poco più grandi di un’oliva non li aveva mai visti.
“Amore ti prego...”
“Si, si, ho capito, non ti devo far fare brutta figura. Ci sto provando, cazzo!”
Adriana aveva intravisto in sala qualcuno degli altri fortunati colleghi e diversi personaggi della presidenza.
La signorina capì che con Massimo non doveva lesinare con i panini così come aveva già fatto per i grissini.
Ogni panino, ingoiati come fossero m&m’s, scattava il jingle non-mi-far-fare-brutta-figura sempre più sibilato a denti sempre più stretti.
Le cose stavano andando comunque abbastanza bene, a parte gli abbinamenti dei piatti, quando Massimo cominciò a diventare paonazzo a causa dell’armatura. Gli stava stretto tutto: scarpe, pantaloni, la giacca all’altezza delle spalle e sopra a tutto il micidiale nodo scorsoio di camicia e cravatta.
Fra i due antipasti le prime linee cedettero e la fanteria arretrò.
Non ce la faceva più. Allargò il nodo della cravatta lasciando scoperto il colletto della camicia aperto e slacciò in modo tattico i due bottoni superiori del pantalone lasciando però la cintura ben tesa a reggere tutta l’imbracatura.
Partì il jingle.
Fu comunque una mossa arguta perchè aveva riacquistato una respirazione più serena e naturale. Anche le vene del collo si sgonfiarono sensibilmente e poteva finalmente permettersi di sbracarsi un tantinello sulla poltrona.
Arrivò il primo. Per lui tre ravioli, di numero, di pesce di fondale in un brodetto di mare con conchiglie, vongole, olio, pomodoro e microscopici pezzetti di verdure. Per lei invece alcuni pezzetti di pasta con anatra, formaggio e chissà cos’altro.
L’imponderabile stava per accadere.
Massimo tagliò a metà uno dei ravioli, (così ne faccio almeno sei bocconi!) pensò. Cercò di infilzare la mezza luna con la forchetta ma il ripieno sgusciò fuori. Riprovò prendendolo a mò di cucchiaio, da sotto, portò la forchetta alla bocca ma il raviolo traditore proprio all’ultimo istante si tuffò con un perfetto carpiato con avvitamento all’indietro nel brodetto devastando nell’ordine: cravatta, camicia, giacca lato destro altezza bavero, polsino destro giacca e camicia e dulcis in fundo il lato destro della tovaglia. Come se qualcuno gli avesse scosso davanti al petto un grosso pennello pieno di vernice.
Partì il jingle telepaticamente.
Bestemmiando come un ottomano ma sommessamente Massimo con un paio di gesti rapidissimi ed esperti tuffò il tovagliolo di lino nell’acqua minerale e cercò di togliersi di dosso almeno il “grosso” del danno. Cercò di pulire anche la tovaglia ma riuscì solo ad allargare la macchia, confonderne un po’ i contorni e stemperarne il colore.
Lei abbassò gli occhi e non disse nulla.
Lui cercava di scusarsi
“amore, hai visto, è scivolato all’improvviso! ... Stò cazzo di raviolo di merda!”
“Ti prego!!!”
Anche il maitre e i due ragazzi si accorsero del dramma ma con molta eleganza fecero finta di nulla.
Gli altri due ravioli li inforchettò con un’unica mossa e li mise in bocca in un solo boccone, poi fece una doviziosa scarpetta con tutti e tre i suoi micro-panini come fosse una zuppa di latte con i biscotti.
La battaglia era ormai persa, le truppe si stavano ritirando in modo scomposto sotto i colpi del nemico.
Arrivarono in qualche modo fino al dolce. Lui aveva ovviamente anche assaggiato tutti i piatti della moglie, mentre lei lo supplicava con gli occhi di non farlo, creando così una piccola traccia di gocce di olio, pomodoro e condimenti di varie tinte fra loro due.
Dolci spettacolari. Sempre microscopici, presentati in un piatto rettangolare con il contenuto diviso in tre tappe degustative, con la fogliolina di fili di zucchero caramellato, la cialda di ostia, lo zucchero a velo, forme e colori molto originali e aromi quasi commoventi.
Lui finì il suo senza incidenti. Lei lasciò la sua cialdina a margherita con dentro la mini-palletta di gelato al cioccolato. Fu un errore madornale! Lui gliela rubò di soppiatto con la mano sollevandola da un petalo. Sempre all’altezza della sua bocca, quasi una forza magnetica misteriosa e maledetta impedisse ad alcune pietanze di essere ingoiate dal nostro eroe, il debole petalo cedette e la palletta al cioccolato, già in via di disgelo, finì di liquefarsi su cravatta, pantaloni, tovaglia e poltrona. Si, la poltrona di pelle crema che fino a quel momento era stata miracolosamente risparmiata dai vari assalti. Questa volta i maldestri tentativi di ripulire le tracce dell’efferato delitto sparsero il fondente ovunque.
Guardò la moglie con due occhioni da cucciolo di SanBernardo
“la colpa è mia” disse lei scuotendo la testa rassegnata
“lo sapevo. Il vestito non basta”
Ordinarono il caffé, il Maitre perse il suo aplomb
“Signore, il suo glielo verso direttamente addosso o preferisce fare da solo?”
di Giuseppe Gatto

25 commenti:

Anonimo ha detto...

a me ha fatto pisciare dalle risate!!!

.... ha detto...

Ciao,e' notte fonda e non son riuscita a leggere i tuoi racconti,ma scorendo trale righe del blog,mi e' venuto un sorriso benche stanca.tornero a vedere tuo blog.De puoi...scrivi un pochino piu' breve...ma va bene anche cosi'.
grazie.

Anonimo ha detto...

finalmente mi sono ricollegata al tuo blog....
mi sono letta "il vestito non basta" e mi sono ammazzata dalle risate ... sembra di assistere alla scena!
le altre novelle le leggerò nei prossimi giorni così da gustarmele per bene.
bravo bell'idea.
baci bongi

elis@ ha detto...

passa pure quando vuoi... io sono stata qui un'eternità credo!
Scrivi in modo eccellente.
Grazie per questi 10 minuti di sollievo!

elis@ ha detto...

Certo che sì, ti aspetto!
E se posso ti aggiungo ai collegamenti del mio bog,
buona giornata!!

Quell'Uomo ha detto...

Ciao, ricambio più che volentieri la tua visita!
Un bel racconto, esprime bene il senso di ansia - che bene o male abbiamo provato tutti - in situazioni come queste.
E' stato divertente vedere il lento avvicinarsi della "tragedia" e il senso di imminenza su quel che stava per accadere. ;-)

Anonimo ha detto...

Padronanza di linguaggio e fantasia complimenti !!!!!
Il racconto mi comunica che bisogna essere in armonia con se stessi malgrado le critiche degli altri. A presto!!!!

Anonimo ha detto...

grazie del tuo passaggio da me... vedo che ti piace scrivere :-) ciao

Anna Maria ha detto...

1- mi hai fatto venire fame;
2- secondo me mentre scrivevi eri tu ad aver fame;
3- la battuta finale è meravigliosa;

Nella storia popolare siciliana c' è un personaggio chiamato Giufà, famoso per i suoi modi non da Galateo, e una delle sue battute più famose era "Mangiate vestiti che siete invitati" (ovviamente era in dialetto.
Il tuo personaggio un po' me lo ricorda. Ciao e grazie del commento, anche a me piace il tuo blog :)

Niky Rocks ha detto...

Ciao Giuseppe, grazie dell'invito.
Ma hai provato a farne un cortometraggio? Secondo me "girato" deve venir fuori una gag davvero divertente.

dalila ha detto...

antipatico il maitre..il tuo racconto mi ha strappato più di un sorriso, molto divertente! Ci sei tu dietro il nostro eroe che si veste come un "profugo albanese"?
Alla faccia della nouvelle cousine io continuo a preferire un buon piatto di pasta all'amatriciana..il jeans e la felpa con i cartoni animati!
Bello il tuo blog, ci farò spesso una capatina per leggerre i tuoi racconti.
Sono curiosa: il racconto nasce da un' esperienza personale?!
Ps: molti dei tuoi gruppi musicali preferiti sono anche i miei.
A presto

Giuseppe Gatto ha detto...

Risposta x Dalila: si può dire che il racconto si ispira a fatti realmente accaduti. Da giovane infatti lavoravo come Maitre...

Anonimo ha detto...

Non potevo non passare a ringraziare per gli auguri di compleanno del mio blog...
Ho dato una sbirciata qui e là, ho letto anche il racconto del ristorante ed è molto divertente, uno dei commentatori ha ragione, ci si potrebbe fare un cortometraggio... quasi quasi ci provo...
p.s.: Fra le tue fonti d'ispirazione, al primo posto (diciamo "per caso") c'è Stefano Benni, lasciamelo dire, sei un grande!

Anonimo ha detto...

Ho finito adesso di leggerlo e sto ancora ridendo. Pregusto i prossimi che aspetto un pò come i libri di Ken Follett. Un abbraccio.

Anonimo ha detto...

Divertente, scorrevole e con una bella battuta finale.
Applausi e risate.

Anonimo ha detto...

Ahahahahah, racconto splendido e gustoso. Mi sono rivista alle maledette cene aziendali, dove portano micragnosi piatti che non sai mai cosa rappresentano.
Non parliamo poi del vestito, il mio, e di mio marito che mi guarda implorandomi in silenzio di stare zitta. Sembra che tu ci abbia seguito alla cena del direttore!
E comunque una volta mi sono trovata ad un ristorante che voleva essere sciccoso ma secondo me era solo kitch, in tutto il pranzo furono portati 18 tipi di bicchieri diversi! Un incubo ed una cafonata, sempre secondo me e poi il cameriere sempre alle spalle che raccontava vita morte e miracoli di quelle tre cacatine che stavano nel piatto.
Ma voi mettere una bella tegamata di pastasciutta ignorante e sugosa?

Bellissima la battuta finale, sei un sottile osservatore di situazioni e le sai descrivere, infatti quei camerieri lì si presentano come ministri del culto del gargarozzo e guai a non adeguarsi alla loro messa in scena! N.

Anonimo ha detto...

Credo che sia quello come il mio. Ho commesso l'errore di leggere questo racconto prima di cena, ed adesso chi mi ferma più? Vado a cenare appena riesco a rialzarmi dalla poltrona dove sono sprofondato ancor più del solito a causa delle risate, se può interessare mi sono venute anche le lacrime agli occhi. Scrivine qualcun altro così. :-)))

Anonimo ha detto...

sei bravissimo e mi fai morire dalle risate. Grazie!

Anonimo ha detto...

Sei in gamba Gatto, una piacevole sorpresa. Sei un ottimo osservatore e sai prendere in giro le situazione paradossali della vita.
Mi è piaciuto molto anche la rassegnazione e il locus of control interno della moglie nel finale. E' una nota di speranza nel rapporto. Invece di una scenata isterica, la mutua accettazione dell'altro per quello che è realmente, non esteriormente. Commovente e soprattutto un grande gesto d'amore verso il compagno, anche se solo in sordina.
Mr.Blue

Anonimo ha detto...

... mi è piaciuto anche se alla fine mi aspettavo un colpo di scena diverso ... qualcosa di contorno alla catastrofe comportamentale ... :-)

fuorisincrono ha detto...

è un giro strano quello che mi ha portato su "pensa se avrei studiato" e poi qui....
in questo momento della mia vita calzi a pennello: il bisogno di umorismo vero come pure di letture intelligenti.
Apprezzo con gratitudine le risate che mi sono fatta leggendo questo racconto!!!
Potresti - vedi anche ANNA PER SEMPRE - pensare a scrivere sceneggiature. Lo fai già?

Giuseppe Gatto ha detto...

@MariaPaola:
a)sarei (anzi SONO!) curioso di conoscere il "giro strano"...
b)felice di calzarti a pennello (senza facili e stupidi doppi sensi)
c) molti mi dicono che il mio modo di scrivere ricorda una sceneggiatura, ... ma io una sceneggiatura non l'ho mai letta! :-) Mi viene da scrivere così! Erano almeno venti anni che desideravo scrivere, poi un periodo di pausa dal lavoro mi ha "liberato" del tempo, ho cominciato (poco più di sei mesi fa) ... e non mi sono più fermato.
d) mi hai stordito di complimenti, GRAZIE infinite, la copia omaggio autografata di un ipotetico futuro libro non basta più, devo cominciare a pensare ad un ricco cestino per il prossimo Natale!
:-) Se mi mandi (in privato) il tuo indirizzo però un pensierino vero te lo mando :-) (tranquilla sono sposato e la signora Gatto è pure gelosa!)

Giuseppe Gatto ha detto...

@MariaPaola:
ah, dimenticavo. Non leggerti tuttoin due giorni! ... io non riesco a scrivere al ritmo con cui tu mi leggi!!! Comunque quando hai finito tutto, su "Pensa se avrei studiato" ci sono anche tante "micro-storie" comiche. Cercale! :-)

fuorisincrono ha detto...

sono un'impedita del computer, anche se non sembra. utilizzo mozzilla e per mandarti una mail non riesco a configurare outlook!
facciamo così: ti indirizzo verso una delle mie caselle di posta dalla quale poi se ti va passo alla mia VERA casella.
tua moglie può stare tranquillissima e poi capirai il perchè! eh eh eh !
Leggerò con più lentezza...o almeno limiterò i commenti!
ciao.

luckysalmon@yahoo.it

Giuseppe Gatto ha detto...

@MariaPaola: leggi pure con più lentezza ma NON LIMITARE I COMMENTI! SONO BELLISSIMI! Mi fai sentire quasi uno scrittore vero!!! Ti prego non limitarli assolutamente!!!
:-)

Libera 
Università di Alcatraz